Amidà

Da Ebraismo.

Signore, apri le mie labbra e la mia bocca narrerà la Tua lode.

(Invocazione di apertura della Amidà)

La Amidà costituisce il vero e proprio cuore della preghiera ebraica, e si recita in piedi, a bassa voce, a piedi uniti e rivolti verso Gerusalemme (se siamo a Gerusalemme, la reciteremo rivolti verso il Monte del Tempio).

Quando si recita?

La Amidà va recitata all'interno delle tre preghiere giornaliere: del mattino (Shachrit), del pomeriggio (Minchà) e della sera (Arvit).

Shachrìt: può essere recitata dal sorgere del sole fino alla quarta ora solare (in genere equivalente all'incirca alle 10:30-11 del mattino). Questa preghiera è in genere quella in cui gli uomini indossano i tefillin.

Minchà: può essere recitata dalla sesta ora solare e mezza della giornata (in pratica, dal primo pomeriggio fino all'inizio del tramonto).

Arvìt: la si può recitare a partire da un'ora e un quarto prima dell'uscita delle prime tre stelle, ma è preferibile attendere che le stelle abbiano fatto la loro comparsa. Analogamente, può essere recitata fino all'alba ma è preferibile farlo entro la prima metà della notte.

Inoltre, in alcune occasioni, si recita più di tre volte al giorno:

Di Shabbat, di Rosh Chodesh e nelle festività si recita una preghiera aggiuntiva, chiamata Musàf (in ebraico "aggiunto") contenente una Amidà speciale. Dunque in questi giorni si recita in tutto quattro volte.

Solamente il giorno di Kippur, oltre al Musàf, si aggiunge una ulteriore preghiera chiamata Ne'ilà ("chiusura"): dunque, solo in questo giorno, la Amidà si recita cinque volte.

Alcune semplici regole sulla Amidà

-Non si può recitare la Amidà di fronte a quadri, figure o specchi.

-I piedi, durante la Amidà, devono essere uniti tra loro.

-La recitazione della Amidà non può essere interrotta, se non per motivi davvero gravi.

I nomi della Amidà

La Amidà è conosciuta con almeno quttro nomi diversi:

Nome Significato
Amidà "Stare in piedi": dal verbo la'amòd, di omonimo significato
Tefillà La "Preghiera" per antonomasia
Shemonè 'esrè "Diciotto": originariamente era composta da diciotto berakhot, poi divenute diciannove
Avodà she-ba-lev "Il culto che è nel cuore": è un dialogo diretto tra chi prega e il Signore

Ognuno di questi quattro nomi identifica una diversa sfaccettatura di questa preghiera.

Amidà-Stare in piedi: il ruolo del corpo è importante per recitare la Amidà. Innanzitutto, il corpo deve essere pulito e vestito prima di recitare la preghiera: è come se stessimo chiedendo udienza al nostro Re, dunque abbiamo il dovere di presentarci in modo quantomeno dignitoso! Prima di cominciare la Amidà facciamo tre passi indietro, per ritirare simbolicamente la nostra attenzione dal mondo materiale, e poi in avanti, per avvicinarci al cospetto della Presenza divina. Quando la concludiamo, ci congediamo facendo tre passi all'indietro. Inoltre, in alcuni punti ben precisi della Amidà ci si inchina. Alcune persone, per raggiungere uno stato di maggiore concentrazione (o forse a causa di esso) ondeggiano costantemente con il corpo mentre recitano la Amidà.

Tefillà-Preghiera: la Amidà costituisce il cuore e il climax della preghiera ebraica, ed è preceduta e seguita da numerosi altri brani. Inoltre, il verbo ebraico palal, da cui viene la parola Tefillà, indica lo stare davanti al giudizio. In pratica, quando diciamo la Amidà stiamo chiedendo al Signore di giudicare il nostro comportamento.

Shemonè esrè-Diciotto: Le benedizioni sono in realtà diciannove! Questo perché, durante il periodo della dominazione romana sulla Giudea, gli ebrei erano divisi in una numerose sette e fazioni contrapposte tra loro. L'ebraismo rabbinico, origine dell'ebraismo di oggi, era solamente una di esse, ed era esposta alle minacce, alle maldicenze e alle delazioni delle fazioni contrapposte. Costoro non vedevano l'ora di denunciare gli ebrei alle autorità romane, che in alcuni periodi punivano l'esecuzione di certe mitzvot addirittura con la morte! Dunque fu aggiunta una diciannovesima benedizione in cui si chiede al Signore di vanificare i piani di tutti i nemici e i malvagi. Lo scopo iniziale di questa benedizione era che i membri di questi gruppi, che spesso si infiltravano nelle congregazioni ebraiche per denunciarle alle autorità, non si sentissero più a proprio agio tra gli ebrei.

Avodà she-ba-lev-Culto che è nel cuore: l'origine di questo nome risale al fatto che l'Amidà fu istituita e codificata per sostituire i sacrifici e il culto nel Tempio ormai distrutto. Dunque, se prima a eseguire il culto erano solo i sacerdoti e solamente all'interno del Tempio, adesso qualunque ebreo, in qualunque luogo, ha il dovere di recitare la Amidà tre volte al giorno. Il culto, dunque, si è davvero "spostato" nei nostri cuori! Ogni ebreo che recita la Amidà, in effetti, è come se fosse "a tu per Tu" con il Signore, senza alcun tipo di intermediario. I Maestri e le fonti aggiungono che bisogna "porre il proprio cuore", ossia concentrarci e avere la giusta intenzione, durante la recitazione della Amidà, altrimenti essa non è valida!

Le benedizioni che compongono la Amidà

Nota: qui riportiamo una rapida panoramica delle benedizioni della Amidà "base", ossia quella che si recita nella preghiera quotidiana dei normali giorni feriali. Vi sono però numerose occasioni in cui alcune parti vengono non vengono recitate (ad esempio, durante Shabbat e le festività, le 13 benedizioni centrali) o al contrario ne vengono aggiunte altre (come per esempio aggiunte per il capomese, per Chanukkà e Purim, per le giornate di digiuno o per altre ricorrenze). Inoltre, il testo della Amidà ha delle leggere varianti secondo i vari riti: italiano, sefardita, ashkenazita, yemenita, romaniota e così via.


Benedizioni di lode

Sono tre, e in esse l'atteggiamento di chi prega è simile a quello di un servitore che rende omaggio al proprio padrone. Queste tre benedizioni non cambiano mai: rimangono sempre uguali, non importa se sia giorno feriale, Shabbat o una ricorrenza.

1) Maghen Avrahàm, "scudo di Abramo": si ricorda la protezione accordata ai nostri Patriarchi. All'inizio e alla fine di questa benedizione ci si inchina.

2) Mechayè ha-metìm, "Colui che fa risorgere i morti": viene qui menzionata l'onnipotenza divina, che può andare a piacimento al di là delle "normali" leggi di natura.

3) Ha-El ha-Qadosh, "il Dio Santo": qui il Signore viene menzionato in quanto qadosh, "santo" o, per essere più precisi, totalmente distinto e al di là dell'universo da Lui creato.

Benedizioni di richiesta

In queste benedizioni, chi prega fa delle richieste al Signore: secondo i Maestri, l'atteggiamento di chi sta pregando è qui analogo a quello del servitore che implora il pane dal proprio padrone. Le richieste sono dapprima individuali, e poi il "punto di vista" si allarga fino a richiedere benefici per tutto il popolo d'Israele. Queste tredici benedizioni si recitano integralmente solo nei giorni feriali: di Shabbat, nel musàf di Rosh Chodesh e nelle festività sono sostituite da una benedizione unica, che celebra la particolare natura del giorno. Solamente nel musàf di Rosh Hashanà esse vengono sostituite non da una, ma da tre speciali berakhot.

4) Chonèn ha-dà'at, "che concede conoscenza": qui si richiede al Signore la salute mentale, la comprensione e la saggezza, senza le quali poco si può realizzare.

5) Ha-rotzè bi-tshuvà, "che desidera il pentimento": si richiede un aiuto per tornare all'osservanza della Torà e a un atteggiamento sano verso la vita.

6) Channùn ha-marbè li-slòach, "misericordioso e grande nel perdono": qui chiediamo perdono per i peccati che inevitabilmente ognuno di noi commette.

7) Goèl Israèl, "redentore d'Israele": il Signore è qui definito come Colui che, non solo in un lontano passato ma di continuo, salva e redime il popolo ebraico dalle sue afflizioni.

8) Rofè cholè 'ammò Israèl, "che guarisce i malati del Suo popolo Israele": richiediamo qui, in modo collettivo, la guarigione del corpo, dopo aver richiesto individualmente una mente sana nella benedizione numero 4. Il corpo, secondo l'ebraismo, non va mortificato o afflitto: anzi, è il "veicolo" che ci permette di compiere le mitzvot, e come tale deve essere in buono stato: con un veicolo malfunzionante come facciamo ad affrontare un lungo viaggio?

9)Mevarèkh ha-shanìm, "che benedice gli anni": in questa berakhà richiediamo un anno prospero e fertile: per estensione, preghiamo il Signore che ci conceda benessere e i frutti del nostro lavoro. L'ebraismo non sostiene che in questa vita, per essere persone migliori, bisogni rinunciare ai beni materiali o soffrire, ma piuttosto godere in maniera giusta e sana dei benefici che il Signore ci concede.

10) Meqabbètz nidchè 'ammò Israèl, "che raduna i dispersi del Suo popolo Israele": chiediamo al Signore in questa benedizione che riporti il popolo ebraico in Terra d'Israele, ponendo fine al nostro millenario esilio.

11) Mèlekh ohèv tzedaqà u-mishpàt, "Re che ama la giustizia e il diritto": affermiamo che il Signore è giusto, anche se a noi a volte ciò sembra sfuggire, e un giorno stabilirà la giustizia in modo chiaro ed evidente su questa terra.

12) Shovèr oyevìm u-makhnìa' zedìm, "che spezza i nemici e sradica i malvagi": qui chiediamo al Signore che annienti ogni speranza di successo per coloro che ci odiano. Questa sarebbe in realtà la diciannovesima benedizione, ossia è stata aggiunta in seguito: in un periodo in cui gli ebrei erano profondamente divisi tra loro, costantemente minacciati da sette estremiste e da delatori pronti a denunciarli ai dominatori romani! A comporre questa benedizione fu chiamato il Maestro Shemuèl ha-Qatàm, conosciuto per essere una persona particolarmente mite e libera dall'odio.

13) Mish'àn u-mivtàch la-tzaddiqìm, "sostegno e riparo per i giusti": imploriamo il Signore che sostenga e protegga tutti coloro che sono i portatori della Sua giustizia nel mondo. Da notare che, nell'ebraismo, per essere "giusti" non bisogna necessariamente essere ebrei! Quindi questa benedizione si potrebbe intendere anche come una richiesta di protezione per tutte le persone buone e giuste del mondo, a qualunque popolo appartengano.

14) Bonè Yerushalàim, "Ricostruttore di Gerusalemme": preghiamo qui perché la città santa di Gerusalemme venga presto ricostruita!

15) Matzmìach qèren yeshu'à, "Che fa germogliare il raggio della redenzione": qui chiediamo al Signore che faccia venire rapidamente il Messia...amèn, che avvenga presto e ai nostri giorni!

16) Shomèa' tefillà, "che ascolta la preghiera". Dopo aver presentato al Signore numerose richieste, Gli chiediamo di prestare ascolto alle nostre suppliche.

Benedizioni di ringraziamento

Dopo aver presentato le nostre richieste, ci congediamo dal Signore ringraziandoLo, secondo i Maestri, come un servitore che si congeda dal suo padrone dopo averne ricevuto il pane. Ecco le ultime tre berakhot di questo nostro piccolo "viaggio" intimo e personale.

17) Ha-machazìr (be-rachamàv) shekhinatò le-Tziòn, "che fa tornare (nella Sua misericordia) la sua Presenza a Sion". Il Monte Sion, dove sorgeva il Tempio, è stato il luogo che ha fatto da "porta" perché la Shekhinà (Presenza divina) potesse fare il suo ingresso nel nostro mondo materiale. Per questo preghiamo che Essa possa tornare a risiedervi.

18) Modìm anàchnu Lakh, "noi Ti ringraziamo": qui ringraziamo il Signore per essere il nostro Dio, e per i miracoli che continuamente compie per noi, anche se non li vediamo. Questa berakhà è ben più di un ringraziamento per l'esaudimento delle nostre richieste, contenute nelle benedizioni precedenti. In effetti, la parola "Modim" significa non solo "noi ringraziamo" ma anche "noi riconosciamo": in questa benedizione non solo ringraziamo il Signore, ma attestiamo e rinnoviamo la nostra fede nel Suo patto e nel suo messaggio. La benedizione si conclude poi con le parole ha-Tov Shimkhà u-Lkhà naè le-hodòt, "il Cui nome è Buono, e a Te è bello ringraziare". All'inizio e alla fine di questa benedizione ci si inchina.

19) ha-mevarèkh et 'ammò ba-shalom, "che benedice il Suo popolo con la pace". Come fissato dai Maestri, la Amidà termina con una richiesta di pace. Shalom, "pace", è più della semplice assenza di conflitto: indica una pacificazione completa interiore ed esteriore, ed è anche, nientemeno, uno dei Nomi del Signore! Quando in ebraico ci salutiamo dicendo shalom 'alèkhem, "la pace sia su di voi", sarebbe bello che fossimo consapevoli di quanto bene stiamo augurando a chi ci sta davanti!

Concluse le diciannove benedizioni, si recita una breve orazione conclusiva e infine si fanno tre passi indietro (per congedarsi simbolicamente dalla Presenza divina) e, mentre ci si inchina a sinistra, a destra e di fronte a sé, si recita la formula conclusiva:

'osè shalòm bi-mromàv hu ya'asè shalom 'alenu ve-'al kol ('ammò) Israèl (ve-imrù) amèn: Colui che fa la pace nelle Sue altezze, conceda pace su di noi e su tutto (il Suo popolo di) Israele, (e dite) amèn!

Ripetizione della Amidà

Quando è presente un minyan, la Amidà, dopo essere stata recitata individualmente, viene ripetuta ad alta voce per tutto il pubblico. Questo a beneficio delle persone che non conoscano bene la preghiera e l'ebraico e abbiano dunque problemi a recitarla da soli. A ogni benedizione, il pubblico deve rispondere "amèn".

Nella ripetizione vengono inseriti alcuni brani che non sono presenti nella recitazione individuale:

La Qedushà: tra la seconda e la terza benedizione, si recita la Qedushà ("Santità"): un brano in cui si proclama la santità divina, menzionando il comportamento degli angeli. In questa parte del servizio, particolarmente solenne, si sta in piedi e in silenzio e si risponde alle frasi del chazan recitando alcune formule ben precise. Questo momento ha una tale importanza che, anche se una persona in quel momento sta ancora recitando la Amidà per conto proprio, deve interrompersi, rimanere concentrato rispondendo alle formule della Qedushà dentro di sé, e riprendere la Amidà solamente una volta che la Qedushà si sia conclusa.

La Birkat Kohanim: dopo la benedizione di Modim si inserisce, solo in alcune occasioni e in alcuni orari, la Birkat Kohanim: la benedizione che gli antichi sacerdoti, al tempo del Tempio, impartivano al popolo di Israele. I kohanim presenti, dopo essersi tolti le scarpe e lavati le mani, salgono di fronte all'aron e impartiscono la triplice benedizione. Il testo della benedizione, che proviene direttamente dalla Torà, è il seguente:

יְבָרֶכְךָ ה', וְיִשְׁמְרֶךָ‬

Yevarekhekhà A. ve-yishmerekha Il Signore ti benedica e ti protegga

יָאֵר ה' פָּנָיו אֵלֶיךָ, וִיחֻנֶּךָּ‬

Yaèr A. panav elekha v-yichunneka Il Signore volga il Suo volto verso di te e ti conceda grazia

יִשָּׂא ה' פָּנָיו אֵלֶיךָ, וְיָשֵׂם לְךָ שָׁלוֹם‬

Yissà A. panav elekha ve-yasèm lekha shalom Il Signore alzi il suo volto verso di te e ti conceda pace.

E' un altro momento molto intenso, nel quale i familiari più anziani benedicono i più piccoli: ci ri ritrova tutti insieme sotto il tallèd (o, per le donne, le mani protettive) del capofamiglia!